LE PANTASIME

IL BALLO DELLE PANTASIME A PAGANICO SABINO
Come frammento dell’antica cultura contadina sopravvive a Paganico Sabino il rito del “Ballo delle Pantasime”. Tale cerimoniale si ritrova oggi inserito all’interno dei festeggiamenti nel mese di Agosto che la stessa comunità celebra in onore di Maria SS e S. Giovanni Battista; festa questa che la popolazione sente come la più impor- tante dell’anno. Nel mese di agosto infatti i festeggiamenti in onore della “Madonna”, nei tempi passati, erano particolarmente sentiti da tutti quei pastori transumanti, i quali, dopo aver svernato con le loro greggi nelle terre della campagna romana, tornavano in paese per riunirsi alle loro famiglie.
Si può solo immaginare la pregnanza di tale momento di ritrovo tra i paesani che solennizzavano tale periodo con la loro massima intensità di partecipazione, sia nei cerimoniali religiosi che in quelli pagani. In tale contesto il “ballo della Pantasima” era un rituale fisso, da tempo consolidato, che chiudeva in termini beneaugurali la stagione estiva.
Il passaggio dalla condizione di simulacro totemico, quale antica “erma” posta a protezione delle attività del mondo agro-pastorale, a quella del cerimoniale del “ballo” è, molto probabilmente, da far risalire a quei momenti storici in cui il “ballo” ed il “fantoccio rituale” vengono ad essere fusi in un’unica espressione avente valore sociale. Da quel momento, nell’ambito delle feste rituali, i due elementi vengono così a legarsi indissolubilmente. La musica del “saltarello”, cui è tradizionalmente legato il ballo della “Pantasima”, rimanda a quelle manifesta- zioni in cui già tra i “latini” la “saltatio” era un ballo tra i più diffusi, che trova specifica evoluzione nell’alto me- dioevo nelle “saltationes”, cioè le danze di carattere più vivace, eseguite con varie combinazioni di ballerini, aventi una evidente espressività erotica, tantoché la chiesa in epoca tardo imperiale e medioevale tentò di allontanarle dai rituali liturgici.
Rimane comunque certo che tale rito, quale forma di cerimoniale che in qualche modo è connesso alle antiche “saltationes”, lo ritroviamo diffuso e consolidato agli inizi del secolo scorso, nella forma che grossomodo oggi lo rivediamo nelle versioni più genuine e non contaminate di alcune
località della Valle del Turano, del Salto Cicolano e delle valli del Velino. Questa particolare tradizione, nella quale, in una pubblica piazza, si inscena un ballo rituale di un “fantoccio” sul ritmo musicale del “Saltarello” con la partecipazione attiva degli abitanti, si diversifica in area abruzzese
ed in area laziale, in ragione delle modalità costruttive, nonché nel nome che il fantoccio prende su ogni territorio.
In area abruzzese questa figura rituale assume i nomi di Pupa, Pupazza, Pucca, Mammoccia e Marmotta. In area laziale ritornano i nomi di Pupazza e Marmotta (soprattutto nelle aree della Valle dell’Aniene che confinano con il Carseolano), ma il nome più diffuso nella Bassa Sabina e
nelle Valli del Turano e del Salto-Cicolano è quello di Pantàsima. Con il nome di Pantasema essa invece si identifica nell’Alta Valle dell’Aniene (nei Comuni di Jenne e Subiaco), a Roviano vi è la Pupazza chiamata Sor Camilla, mentre a Sambuci si trova la Signoraccia.
La fattezza della nostra “Pantasima” si sostanzia in una struttura leggera di canne foderata di carta dalle dimensioni che tende al gigantismo (all’incirca il doppio di quelle della figura umana).
Tale Pantasima viene ballata, anche per molto tempo, permettendo movimenti e piroette anche in posizioni di forte inclinazione dei fantocci, i quali alla fine vengono bruciati. si mostra”, e nell’antichità tale apparizione era certamente aspettata, ma anche temuta.
Nell’antico rituale tale “gigante” era di per sé destinato alla morte. La sua apparizione e la sua distruzione erano atti che non contemplavano alcun rammarico finale o alcuna simpatia; l’obiettivo era l’annientamento “del maligno”, e solo così la comunità poteva rigenerarsi per il nuovo ciclo vitale. Similmente alla funzione degli antichi “spauracchi”, la “Pantasima”, quale “fantoccio animato”, doveva raccogliere su di sé le negatività della comunità. Al contempo la Pantasima, con particolare riferimento al fantoccio femminile, portava con se non soltanto i segnali del grottesco, per schernire “il male”, ma si poneva come elemento totemico di rassicurazione dell’”abbondanza”, della “prosperità” e della “fertilità”. I suoi grandi seni, come quelli delle “Grandi Madri” o come quelli della Dea dei Serpenti a Creta, avevano tale funzione di rassicurazione e protezione.
Come in molte località abruzzesi, in quelle del Cicolano ed in quelle della Sabina, anche a Paganico il “Ballo della Pantasima” viene ad essere eseguito con la presenza di due fantocci, uno femminile ed uno maschile. Alla base del ballo si ritrova ovviamente la musica del saltarello, oggi più o meno diversamente interpretata da vari strumenti musicali, ma che originariamente – cioè prima ancora dell’avvento della banda musicale, cioè prima della fondazione, nel 1885, della Società Filarmonica “La Montanina”– era forse eseguita con altri stru- menti e, non da ultimo dall’organetto diatonico, c.d. “a du botte”. E’ invece proprio con la nascita della banda della “Montanina” che viene a consolidarsi la prassi di eseguire il saltarello sulla base di un testo musicale ti- pico di Paganico Sabino.
Dal racconto degli anziani emerge che l’attuale conformazione della “Pantasima” risale a modelli realizzati a partire dagli anni trenta del Novecento. Tale conformazione risulta connotata da tre principali segni distintivi quali:
a) il gigantismo,
b) la geometrizzazione della forma delle braccia con disposizione a V, cioè con spalla e braccio orizzon- tale ed avambraccio obliquo raccordato sul fianco,
c) minimalizzazione e stilizzazione dell’orrido e del grottesco nella costruzione dei volti.
Questo tipo di pantasima con molta probabilità non era lo stesso di quello in uso prima degli anni’30 del secolo scorso.
I ricordi degli stessi anziani rimandano infatti a immagini di “pantasime” più piccole e diversamente foggiate, con le braccia a mo’ di conca (con la classica sezione a D), e con le fattezze del viso meglio delineate, forse più proprie all’arte della raffigurazione di modelli in cartapesta.
Detti modelli, essendo più piccoli e diversamente foggiati rispetto a quelli che attualmente possiamo vedere, venivano calzati dai ballerini in modo tale che il corpo di quest’ultimi non risultava completamente coperto, in quanto nel ballo risultavano ben visibili le loro gambe, ed inoltre la loro testa quasi andava a coincidere con il busto della stessa “pantasima”. Tale modello di Pantasima, lasciando intravedere le gambe del ballerino, rimanda a quei modelli di fantocci rituali, forse ancora più antichi, dove il corpo dello stesso fantoccio altro non era che una protesi del ballerino stesso. Contrariamente a ciò, fermi restando i casi in cui quest’ultimi modelli sopravvivono ancora nella cultura popolare attuale (Vedasi ad esempio tra Abruzzo e Lazio, la pupa di Assergi, la Pantasima di Girgenti, la Pupazza di Gallo, La pupazza di S. Marie, La pupazza di Sigillo, ecc.) si può notare come la Pantasima, così come oggi la conosciamo a Paganico, con il suo “gigantismo”, va invece ad assumere una propria autonomia. In tale riferimento, deve sembrare che il fantoccio abbia una propria ed autonoma vitalità. Tutto ciò trova dunque coerenza con il fatto che durante la danza il ballerino non si debba vedere, e che alla fine della stessa il ballerino si debba dileguare tra la folla.
In continuità con il vecchio stile di realizzazione, era rimasta ancora viva, fino agli anni quaranta del secolo scorso, l’usanza di realizzare la Pantasima prendendo spunto dai “personaggi” che vivevano in paese che, con le loro reali caratteristiche fisiognomiche, potevano incarnare le figure grottesche da realizzare.

LA COSTRUZIONE DEI FANTOCCI E LO SVOLGIMENTO DEL CERIMONIALE
All’atto pratico, chi realizzava i fantocci era una persona di provata esperienza, che, insieme a suoi fidati collaboratori, e forte dello spirito di allegria che tale occasione suscitava, provvedeva in una prima fase a reperire le canne ed i legni per realizzare la struttura, e in una seconda fase all’assemblaggio degli stessi. Questa era la fase più delicata, in quanto erano proprio le conoscenze del “pantasimaro” a fare sì che i fantocci fossero leggeri, ben bilanciati, con i giusti appigli per il ballerino per poter eseguire mosse e piroette con agilità. Seguiva l’operazione di rivestimento in carta della Pantasima, alla quale, come detto in precedenza, si dava sfogo all’inventiva sulle figure umane grottesche, prendendo a modello anche talune persone del paese. In passato tutta l’operazione di realizzazione della Pantasima veniva effettuata in gran segreto. Certamente la comunità era a conoscenza della costruzione dei fantocci, ma questi ultimi dovevano rimanere nascosti fino al momento della loro esibizione. La consuetudine vuole che l’effettuazione del “ballo” dovesse avvenire l’ultimo giorno della festa, in tarda serata, verso la mezzanotte. La conclusione della festa spettava proprio al Ballo delle Pan- tasime che era preceduto soltanto dal “lancio del Pallone” e dall’esibizione della Banda. Giunto il momento della loro uscita le Pantasime venivano indossate dai ballerini, i quali, con l’aiuto degli organizzatori, uscivano dal locale in cui esse erano state costruite (e dove fino a quel momento erano tenute segrete) per avviarsi verso la folla che intanto si era ammassata nella piazza. Di grande suggestione era il momento di “apparizione” delle Pantasime, in quanto il luogo dove erano tenute nascoste non era sempre lo stesso. Ciò era dipeso prevalentemente da questioni di disponibilità dei locali, per cui anno per anno i più non sapevano quale fosse questo luogo, e tale imprevedibilità giocava positivamente sull’effetto sorpresa che le Pantasime dovevano avere. Avveniva così che le Pantasime apparivano in lontananza e potevano provenire dalla parte bassa o dalla parte alta della piazza. La pantasima “femmina” precedeva il “maschio”, il quale si attestava ad una discreta distanza. La “femmina”, giunta sulla folla, veniva accolta con grande stupore e lì, già da subito, nel mostrare le proprie grottesche sembianze, attendeva l’arrivo del “maschio”, il quale, una volta giunto anche lui sul bordo del cerchio di folla che intanto si era formato, faceva un profondo inchino in forma di saluto alla “femmina”. Era il momento questo dei “riconoscimenti” e delle allusioni sugli aspetti fisici così ridicolizzati, e per la gente li presente era spontaneo fare paragoni come se “il fantasma” avesse realmente preso le sembianze di qualcuno. Sulle note del saltarello, che intanto si facevano sentire, ecco che iniziava il “ballo”. Sul ritmo della musica i ballerini mimavano un corteggiamento, con chiare allusioni all’atto sessuale, rappresentate da dondolii, accostamenti, traslazioni parallele dei fantocci atte a rappresentare una sorta di movimento sincronizzato del ballo, che di getto però veniva “rotto” dalle “improvvisazioni” che gli stessi ballerini, in base alle loro capacità, mettevano in atto al fine dirottare l’aspettativa del pubblico verso situazioni di pura comicità. Tra tali atteggiamenti d’improvvisazione alcuni erano quasi codificati, o per meglio dire di rito; Il piroettare sul bordo del cerchio della folla, in modo tale tra creare una sorta di effetto di onda che spingeva verso l’esterno il muro dei festanti che intanto giravano in circolo, il piegare la pantasima quasi orizzontalmente sulla folla stessa, erano chiari momenti in cui la partecipazione del pubblico, e l’espressione del saltarello eseguito dai musicanti, trovavano il loro massimo punto di incontro ed esaltazione. La tensione e l’eccitazione del pubblico veniva poi ad aumentare quando si dava inizio all’accensione dei c.d. bengala e quando, a causa delle scintille e del fuoco, emanato da quest’ultimi, alcune parti delle Pantasime cominciavano ad incendiarsi. Il loro roteare tra le fiamme ed il culminare del ritmo musicale del saltarello costituiva non solo il momento parossistico, o di “acme”, dell’intero cerimoniale per la folla ma costituiva anche un momento di prova del ballerino il quale in questo atto finale di fatale disfacimento del fantoccio, era impegnato psicologicamente e materialmente a dare la massima continuità al ballo cerimoniale si da dimostrare alla comunità, ed a se stesso, che “il maligno” doveva essere annullato. Per tale motivo chi andava a ballare la Pantasima sentiva tale incarico come atto devozionale, cioè considerava tale impegno con la medesima carica religiosa di chi “porta il santo”. E’ importante notare come, questa fase finale “di annullamento”, dove i ballerini provvedevano al loro nascondimento tra la folla, dopo aver lasciato a terra gli scheletri dei fantocci, si svolgeva in una situazione di buio naturale, in cui le “tenebre finali” contribuivano a dare il loro significato conclusivo all’intero cerimoniale.

TENDENZE DEL CERIMONIALE ALL’ATTUALITÀ
Differentemente da quanto succedeva nel passato, in questi ultimi decenni lo svolgimento del ballo delle Pantasime ha dovuto per forza di cose fare i conti con la perdita di quei valori e di quei significati magico-religiosi del mondo contadino. Nell’ambito del presente periodo storico, il ballo della nostra “pantasima” (ma lo stesso ragionamento rimane valido per le Pupe, le Pupazze ecc.), nel momento in cui sono definitivamente crollati quei rapporti culturali legati alla vita agreste, ha subito, di fatto, una sostanziale trasformazione concettuale. La ripetizione del rito in epoca attuale tende, infatti, non più a celebrare l’apparizione di quell’antico “Fantasma” su cui scaricare le angosce del mondo contadino, quanto a compiere una sorta di nuova esorcizzazione del mondo moderno, accompagnando quest’ultima anche con manifestazioni di “affetto” e “simpatia” verso il “fantasma” stesso. La perdita della originaria carica apotropaica è oggi dunque sostituita da nuovi valori antropologici che demandato l’atto sacrificale di distruzione del male , attraverso il fuoco, e dall’altro se ne demanda sempre di più la spettacolarità per fini ludico-culturali. Nel complesso tale rito, al di la della sua risignificazione, mantiene vivo lo spirito di generale buon augurio e propiziazione per la stessa popolazione di Paganico.

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Dove siamo

Paganico Sabino è un comune italiano di 166 abitanti della provincia di Rieti nel Lazio

Trentadue Pannelli Iconografici

rappresentanti le seguenti tematiche: la nostra Storia, la Pietra Scritta, le nostre Chiese, la Moresca, le Pantasime